Il mondo sta cambiando, sempre più in fretta. E uno dei principali motori del cambiamento è l’emergenza climatica, legata a doppio filo alla distruzione degli ecosistemi e al crescente inquinamento. L’impatto di tale cambiamento può assumere forme diverse. Per esempio, può concretizzarsi in una pandemia come quella che ha colpito in questi mesi il mondo, dalla sua origine nell’Hubei sino a luoghi distanti migliaia di chilometri come Bergamo, Madrid, e New York.
È infatti noto come la perdita di habitat, lo stravolgimento di vaste aree tropicali, la creazione di ambienti artificiali o semi-artificiali e il traffico/bracconaggio di animali selvatici giochino un ruolo fondamentale nella diffusione di virus molto pericolosi quali il Covid-19, la SARS, l’Ebola, la Zika ecc. Quella del Covid-19 è dunque una sfida di grande portata, causata dalla profonda antropizzazione ambientale in corso. Una sfida che ci sta costringendo a rivedere abitudini, schemi e paradigmi consolidati; che di colpo neutralizza tecnologie e industrie di grande successo (ad es. i voli low-cost e il car-sharing), e che ne rivitalizza o rafforza altri (come le videocall o l’online food delivery).
A causa del Covid-19 in molti hanno finalmente realizzato che gli scenari (a volte a dir poco drammatici) prefigurati dagli scienziati negli ultimi decenni non sono soltanto spunti per gli scrittori di fantascienza, o argomenti per gli ambientalisti. La possibilità di nuove, persino più devastanti pandemie ci accompagnerà per i prossimi decenni, e non riguarderà solo i popoli dell’Africa subsahariana o del Sudest asiatico: gli abitanti dell’Occidente non si potranno più considerare al sicuro.
Un’altra drammatica realtà con cui dovremo fare i conti sarà la crescente scarsità di acqua dolce. Già oggi l’acqua dolce è poca: appena il 3% di tutta l’acqua presente sul pianeta. E come si ricordava in un precedente post, al momento 2 miliardi di persone vivono in paesi colpiti da un elevato stress idrico, e 4 miliardi devono affrontare situazioni di grave scarsità idrica per almeno un mese l’anno. In poche parole, l’abbondanza di acqua dolce riguarda una manciata di paesi e regioni dell’emisfero boreale, come il Canada, la Scandinavia e la regione alpina, e dell’emisfero australe, come la Nuova Zelanda, il Vietnam o la RDC.
Ma la situazione sta peggiorando in fretta. Nel 2025 (cioè tra cinque anni) più della metà della popolazione mondiale potrebbe vivere in aree colpite da stress idrico. E quel che è peggio, il mondo del futuro sarà ancora più assetato del mondo odierno: non solo perché la popolazione globale è in costante aumento (saremo quasi 10 miliardi nel 2050, secondo alcune stime), ma perché interi settori della knowledge economy sono ad alto consumo di acqua.
Prendiamo per esempio i grandi data-center cruciali per il funzionamento delle nostre società digitalizzate. Oltre a consumare tantissima energia, richiedono tantissima acqua, direttamente o indirettamente: per raffreddare i server surriscaldati dall’intensa attività, e perché una parte dell’energia elettrica che consumano è prodotta attraverso centrali idroelettriche. Uno studio statunitense stimava a 165 miliardi di galloni il consumo di acqua dei data-center del paese nel 2014: quasi 800 miliardi di litri. Almeno 300mila piscine olimpioniche. Certo, le aziende più illuminate cercano di usare acqua riciclata anziché acqua dolce per raffreddare i loro data-center, e o li posizionano direttamente in fondo al mare. Ma il consumo d’acqua dolce rimane notevole.
Un altro esempio di industria del futuro ad alto consumo d’acqua sono le bioplastiche di nuova generazione. Per trasformare la lignina in plastica biodegradabile, a basso impatto ambientale, serve… acqua. E dato che il mondo produce ogni anno circa mezzo miliardo di tonnellate di plastica, possiamo facilmente immaginare l’impatto che potrebbe avere un uso massiccio e capillare delle plastiche derivate dalla lignina.
Per non parlare del settore primario del XXI secolo. Di cosa ha bisogno l’idroponica? Di acqua. E l’acquaponica? Di acqua. E l’acquacoltura, che sta rapidamente sostituendo la pesca come principale fonte di pesce? Di acqua (spesso, ma non sempre, dolce: d’altra parte le specie più allevate sono pesci d’acqua dolce come la tilapia del Nilo, la carpa nobile, la carpa asiatica, il labeo rohita).
E non serve aspettare il 2025 per iniziare a immaginare cosa significa vivere un mondo dove l’acqua potabile scarseggia. Negli ultimi anni metropoli molto ricche, e intere regioni di paesi avanzati, hanno provato la scarsità d’acqua sulla loro pelle. Nel 2017 hanno fatto il giro del mondo le foto del lago di Bracciano quasi in secca, con le fontanelle di Roma per la prima volta rimaste senz’acqua. Nel 2018 Città del Capo, in Sudafrica, ha corso il rischio di esaurire le sue scorte d’acqua, e di limitare il consumo d’acqua giornaliero ad appena 25 litri a persona; un dramma per quattro milioni di cittadini, e una catastrofe per gli agricoltori (in particolare i viticoltori) del Western Cape, che hanno subito danni giganteschi. Oggi la Cechia, nel cuore dell’Europa più ricca, si trova in una grave situazione di stress idrico, con seri rischi non solo per i raccolti (e per la produzione locale di birra) ma per la fornitura di acqua a milioni di cittadini.
L’acqua dolce sarà senza dubbio una delle materie prime più preziose del XXI secolo. Ecco perché esiste Bluetentacles. Per attrezzare il mondo dell’agricoltura al cambiamento, e per consentirgli di risparmiare una risorsa che nel corso degli anni sarà sempre più rara e costosa. Una missione che va oltre il business.